Quando l’indifferenza uccide ne usciamo sconfitti tutti.
I “problemi veri” diventano una scusa: parliamo di empatia selettiva
Occuparsi degli animali e dei loro diritti non significa dimenticarsi degli esseri umani. Eppure il ritornello è sempre quello: “Con tutti i problemi che ci sono, ti preoccupi degli animali?”
È una frase che sente ripetere come un disco rotto chi si occupa di diritti animali, ambientalismo o alimentazione etica. Come se la compassione fosse una risorsa limitata, come se preoccuparsi della sofferenza animale significasse automaticamente voltare le spalle alla povertà, alle guerre, alle ingiustizie sociali.
Ma è davvero così? O forse questa obiezione nasconde qualcos’altro?
Nella maggior parte dei casi, chi usa questo argomento non sta realmente dedicando la propria vita a risolvere i “problemi veri”. Non sta facendo volontariato quotidiano, non devolve metà del proprio stipendio in beneficenza, non passa le notti a studiare soluzioni per la crisi climatica o la fame nel mondo.
L’argomento viene tirato fuori selettivamente, quasi sempre quando qualcuno propone un cambiamento che richiede uno sforzo personale: ridurre il consumo di carne, evitare prodotti testati su animali, scegliere opzioni più sostenibili. Allora sì che improvvisamente “ci sono problemi più gravi”.
Un meccanismo psicologico comprensibile. Quando l’indifferenza uccide.
Cambiare abitudini radicate è faticoso, mette in discussione scelte che abbiamo fatto per anni, ci costringe a confrontarci con verità scomode. Molto più facile delegittimare chi propone il cambiamento, spostando l’attenzione su questioni apparentemente più urgenti.
Quando l’indifferenza uccide: il mito delle gerarchie
L’idea che esista una graduatoria oggettiva delle sofferenze da affrontare è tanto diffusa quanto discutibile. Chi decide che occuparsi degli allevamenti intensivi sia meno importante che combattere la povertà? E soprattutto, chi ha detto che dobbiamo scegliere?
Possiamo preoccuparci simultaneamente del surriscaldamento globale e dei circhi con animali, dei diritti dei lavoratori e della pesca intensiva, delle disuguaglianze sociali e della sperimentazione cosmetica. E intanto muoiono milioni di animali ogni giorno nel mondo. Tra sofferenza atroci. Anche e soprattutto durante le feste dove ‘siamo tutti più buoni’.
Inoltre tante questioni sono interconnesse più di quanto immaginiamo. Gli allevamenti intensivi contribuiscono al cambiamento climatico che colpisce per prime le popolazioni più povere. La deforestazione per produrre mangimi animali distrugge gli habitat di comunità indigene. Il consumo eccessivo di risorse nei paesi ricchi sottrae possibilità ai paesi in via di sviluppo.
Ignorare la sofferenza animale non libera miracolosamente energie per risolvere altri problemi. Semplicemente ci rende meno sensibili, meno capaci di riconoscere l’ingiustizia ovunque si manifesti.
La coerenza non è perfezionismo
“Ma anche tu usi il telefono prodotto con lavoro sfruttato”, “Anche tu prendi l’aereo”,“Anche tu compri vestiti dalla fast fashion”.
Eccola, un’altra variante dello stesso meccanismo: l’accusa di incoerenza. Come se l’unica alternativa accettabile fosse la perfezione assoluta o l’indifferenza totale.
Nessuno può vivere in modo completamente etico nel sistema in cui siamo immersi. Tutti facciamo compromessi, tutti abbiamo contraddizioni. Ma questo non significa che ogni sforzo sia inutile o ipocrita.
Ridurre il consumo di carne ha un impatto positivo, anche se non diventi vegano da un giorno all’altro. Scegliere cosmetici cruelty-free conta, anche se poi indossi scarpe di cuoio. Ogni piccolo cambiamento è un passo, non un traguardo definitivo da raggiungere per poter parlare.
La richiesta di coerenza assoluta è un’arma retorica per paralizzare il cambiamento, non un invito sincero al miglioramento.
Cosa ci dice questa resistenza
Quando qualcuno reagisce con fastidio a chi sceglie un’alimentazione vegetale, o si impegna per i diritti animali, o semplicemente esprime preoccupazione per certe pratiche, quella reazione dice molto.
Spesso dietro l’irritazione c’è il disagio. Vedere qualcuno fare scelte diverse dalle nostre, per motivi etici, può funzionare come uno specchio. Ci mostra che alternative esistono, che ciò che davamo per scontato può essere messo in discussione.
È più semplice etichettare chi fa scelte diverse come “estremista”, “fanatico”, “integralista”, piuttosto che interrogarsi su cosa quelle scelte implicano per noi. E intanto, l’indifferenza uccide.
Onesti con noi stessi
Non nascondiamoci dietro la retorica dei “problemi più grandi”. Non usiamo la sofferenza umana come scudo per evitare di confrontarci con quella animale. Ammettiamo piuttosto che la pigrizia e le abitudini radicate vincono su di noi. Che è più comodo così. E guardiamo, finalmente, ciò che ci viene sempre nascosto. La sofferenza che uccide. Guardare e conoscere è un dovere morale.
Il mondo ha abbastanza spazio per tutte le battaglie giuste. Il nostro cuore ha abbastanza capacità per tutte le forme di empatia. E nessuna questione etica diventa meno importante solo perché ce ne sono altre.
Possiamo scegliere se espandere la nostra cerchia di compassione o restringerla dietro alibi rassicuranti. Ma almeno, facciamolo con consapevolezza.